venerdì 4 gennaio 2008

Pro e contro del sistema socio-economico americano: una mia disamina



Sarà pur vero che Cina, India e Giappone sono gli astri nascenti dell’economia mondiale, ma a partire dalla fine della prima Grande Guerra, il ruolo di guida in quest’ambito è sempre stato degli Stati Uniti. Essi sono il presente, l’alfa e l’omega dell’economia globale, capaci di influenzare con le loro vicende la quasi totalità degli equilibri monetari e geopolitici. Trattasi di una nazione che assomma in misura simile enormi pregi e clamorose disfunzioni, in un vero e proprio tourbillon di contraddizioni, che andremo sinteticamente ad analizzare. Anzitutto la politica economica yankee può fregiarsi di numeri ragguardevoli, frutto di una capacità produttiva senza eguali: soltanto nel decennio che va dal 1992 al 2002 il Pil statunitense è cresciuto mediamente del 3,3% annuo, mentre l’Eurozona nel medesimo lasso di tempo ha registrato una crescita che, seppur buona, si attesta sull’1,9%. Il settore trainante dell’economia Usa è senza dubbio quello dei servizi, che raggruppa sotto di sé l’80% del Pil, mentre in Europa ed in Italia questa percentuale costituisce rispettivamente il 75% ed il 70% del prodotto interno lordo. L’enorme produttività nordamericana è spiegabile principalmente dal fatto che i dipendenti americani hanno in media molti meno giorni di ferie rispetto ai colleghi del resto del mondo e lavorando di più le famiglie americane hanno potuto giovarsi di un progressivo aumento dei salari, spesso prescindendo dalle sovvenzioni statali. Difatti la vera caratteristica fondante della società americana è da sempre la mobilità sociale unita ad una liberalizzazione delle forze di mercato, nel rispetto della tradizione capitalistica che premia i più talentuosi ed intraprendenti, in puro stile self made man. Le cronache ci hanno raccontato di diverse persone che negli Usa in un arco temporale relativamente breve, cinque o dieci anni, sono riuscite a risalire prepotentemente la piramide sociale, raggiungendo livelli di prestigio socio-economico notevoli.
Tuttavia gli Stati Uniti negli ultimi anni si sono ritrovati spesso a dover risalire la china, come quando nel marzo del 2000 è esplosa la “bolla speculativa” tecnologica. Questa debacle è stata figlia del boom tecnologico-informatico avviatosi fin dai primi anni novanta, quando l’indice Nasdaq (che raggruppa le principali società informatiche) raggiunse il picco massimo di 5400 punti, per crollare 10 anni dopo a 1300 punti e facendo sperperare circa 7mila miliardi di dollari. Un'altra picconata all’equilibrio economico americano venne inferta l’11 settembre 2001, con l’attacco alle Twin Towers di New York, una vera novità per un popolo che mai era stato attaccato all’interno del proprio territorio. In seguito a questo tragico evento sono state innescate dagli Stati Uniti guerre in Afghanistan prima ed in Iraq poi, in nome della lotta al terrorismo internazionale. Ma il dispiegamento di forze militari non ha dato al governo di G.W. Bush i frutti sperati, poiché, a fronte di una spesa di circa 11 miliardi di dollari al mese (!!), Osama Bin Laden è tuttora in libertà e l’Iraq, anche dopo la morte di Saddam Hussein, versa in condizioni drammatiche. Altra vicenda che dal 2006 ha rallentato la crescita americana è stata quella dei mutui “subprime” ad alto tasso di insolvenza. Trattasi di strumenti che miravano lodevolmente a concedere prestiti anche a quei soggetti che, essendo poveri ed impossibilitati a sostenere i canonici tassi d’interesse, non avrebbero potuto accedere al mercato del credito. Purtroppo l’accettare clienti che non potevano soddisfare le clausole contrattuali ha portato alla bancarotta svariate compagnie prestatrici, con annesso crollo verticale del prezzo delle loro azioni in borsa e gravissimi disagi nel settore immobiliare statunitense. Concludiamo descrivendo una tra le più grandi emergenze sociali dell’America, quella relativa al settore sanitario, che si basa sul sistema delle assicurazioni private. Ben 47 milioni di lavoratori non hanno copertura sanitaria, nonostante gli Stati Uniti abbiano speso nel 2004 il 16% del Pil per potenziare la sanità. A differenza dell’Italia, dove svariate tipologie di servizi sono totalmente gratuiti, in America vi è un vero e proprio “mercato della sanità” dove solo chi è abbiente può usufruire delle migliori cliniche. Molti cittadini americani si sono visti costretti ad andare all’estero, prevalentemente in India, Giappone e Thailandia, per ricevere a costi praticamente dimezzati le stesse prestazioni sanitarie che in patria erano loro precluse a causa dei costi folli. Le uniche due forme di assistenza statale gratuita negli Usa, capaci di coprire appena il 25% della popolazione, sono il Medi-care, dedicata agli anziani over 65, ed il Medic-Aid, per assistere invalidi ed indigenti. Uno splendido spaccato dell’allarmante situazione sanitaria americana è presente in Sicko, film-documentario di Michael Moore. Il messaggio di fondo della pellicola è proprio questo: nel Paese simbolo della libertà d’iniziativa, della democrazia e della parità dei diritti, chi non è sufficientemente ricco, chi non produce reddito e non ha uno status symbol affermato, rischia di scomparire, di essere poco più che un numero da dare in pasto alle statistiche.

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